Italo Cremona 
La Stampa, 27 May 1978, Tuttolibri, p. 2


In tutte le antiche favole che si raccontavano in Italia, e soprattutto a Roma, prima del 1943, Alberto Savinio e Giorgio de Chirico apparivano come mitiche creature scalpitanti governate con mano ferrea da una Madre maiuscola in tutto.

La fantasia di certi abituali clienti della famosa terza saletta del caffè Aragno era giunta a rappresentare quella donna dalle virtù eccezionali, addirittura come un veliero a tre alberi: le vele gonfie di vento, capace di superare i mari più ostili portando in salvo, miracolosamente, e con tutti i loro tesori, gli amatissimi figli.

Anche adesso che vorremmo parlare con naturalezza di uno di questi figli, cioè di Alberto Savinio, le ridondanti fantasie barocche di quel tempo lontano tornano a tentarci. Dioscuri e Argonauti esigono l’ennesima citazione, quinte e fondali teatrali si offrirebbero per una rievocazione in stile magico.

Per quanto decisi a non cedere a questi allettamenti, almeno in questa frettolosa occasione, dobbiamo confessare che, pur ricordando in ogni particolare il nostro primo incontro con Alberto Savinio non abbiamo mai potuto ricostruire esattamente le fasi di quella che sarebbe stata da allora la nostra amicizia caratterizzata da pochi incontri memorabili e poi per troppo tempo interrotta dalla guerra: donde la tentazione di procedere per enigmi e fantasticherie non disdicevoli al caso.

Volendo soffermarci accanto a Savinio pittore in occasione della mostra celebrativa aperta proprio ora al Palazzo delle Esposizioni di Roma, ci accorgiamo di non averlo seguito abbastanza in questa attività e di essere rimasti un po’ troppo legati ai giorni del suo ritorno in Italia da Parigi (1934?) ed ai successivi avvenimenti torinesi.

Non possiamo fare a meno di citare l’accoglienza affettuosa che egli ebbe allora dagli artisti subalpini, la bella mostra che gli fu allestita alla Promotrice delle Belle Arti, l’acquisto d’un suo quadro da parte della Civica Galleria d’arte moderna, così non dimentichiamo di essere stati i primi a dare la lieta notizia sulla rivista Emporium di Bergamo, del suo intervento in un’opera decorativa nella sede d’un importante Istituto Torinese…

Nella cronaca di tale avvenimento faceva capolino una parola inconsueta ed affascinante: Surrealismo.

Se Giorgio De Chirico era universalmente considerato l’inventore della Pittura Metafisica e non perdeva occasione di mostrarsi tutt’altro che tenero verso i surrealisti parigini che pure lo avevano considerato anticipatore e maestro, toccava forse ad Alberto Savinio di inaugurare in Italia una scuola, una maniera, da intendere come una versione mediterranea del Surrealismo europeo e da opporre a quel «largo e sano realismo» che da noi andava per la maggiore.

Savinio parlava talvolta di una «… pittura surrealista intesa per pittura completamente rimossa dalle sedi temporali e trasferita nelle regioni poetiche…», di un surrealismo che avrebbe «… aperto alla pittura la regione delle verità nascoste…», proponeva che esso potesse significare – terrore interno dell’uomo – così come il romanticismo era stato terrore della natura – ma non crediamo che considerasse la sua opera di scrittore e di pittore riducibile sotto una qualsiasi etichetta. Era troppo curioso di tutto, aristocratico e fornito di ironia per non cogliere i lati deboli di certi programmi, era troppo buon conoscitore di uomini e di situazioni per non coltivare con puntiglio la propria singolarità.

Vissuto a Parigi dal 1911 al 1915, cresciuto nella cerchia di Apollinaire, collaboratore ventenne della Voce e della Ronda, ancora a Parigi dal ’26 al ’34, è in questi ultimi anni che diventa pittore continuando tuttavia ad arricchire quell’opera letteraria che oggi viene fatta rivivere con tanto successo.

Come pittore la sua fama non ha avuto momenti di oscurità ma, anzi, una continua e lenta crescita nella cerchia degli amatori delle opere d’eccezione: molto opportunamente l’odierna mostra romana lo farà conoscere a un pubblico più vasto in un clima divenuto più favorevole d’un tempo alla pittura difficile.

interbellum cover